
avventure incredibili di una poesia

Sui muri dell' Acrobax (Roma): murale di Erica Silvestri, che riprende l'ultima strofa della poesia Avrai sorelle
È successa una cosa assurda. Una di quelle che sei convinta di star sognando e quindi di tanto in tanto vai a controllare che sia vera, che sia davvero accaduta. Ho trascorso la giornata di ieri a non credere a quello che stavo vedendo, venendo puntualmente smentita da questa foto. Se la vedete anche voi, non sto sognando. Ma prima di essere meno sibillina, devo fare una strana, svantaggiosa, premessa.
Penso che scrivere poesie, a differenza di scrivere qualsiasi altra cosa, sia un po’ un’azione di bracconaggio. Chi scrive poesie sta solo raccogliendo con un retino qualcosa che è nell’aria e che per qualche strana défaillance chimica ha perso per un attimo la sua invisibilità. A volte nell’aria ci sono particelle di cose passate, a volte addirittura di cose future. Sono le ombre di quello che è stato, di quello che sarebbe potuto essere e di quello che sarà, sono gli aloni delle parole non dette e di quelle dimenticate. Sono cose che non dovrebbero essere viste. Scrivere poesie è raccogliere ostriche e detriti in un tratto di mare interdetto alla balneazione, è inseguire animali selvatici nel bosco del sovrappensiero. Il poeta, a dirla tutta, non è uno scrittore, ma una specie di medium, una persona che mette la sua mano e la sua voce a disposizione di qualcun altro, di qualcos’altro, che altrimenti resterebbe silenzio. Quando scrivi una storia, la costruisci; quando scrivi una poesia, non sai cosa stai facendo e se provi a raccontare come è nata, come da una immagine ne sia sbocciata un’altra, ti accorgi che non hai padronanza di quel che hai “fatto”. Scrivere poesie, e lo dico da atea materialista, ha a che fare col mistero. È una storia di fantasmi. E non c’è merito, non c’è impegno, semmai qualcosa come uno shining, una sensibilità estenuante agli odori, un talento nel perdersi, nel perdere tempo, treni e buonsenso per ascoltare il sottotesto del vento. Le parole arrivano, ti attraversano e, forse, per restituire loro quel che ci hanno dato con il loro passaggio, sarebbe giusto lasciarle andare. Non sono nostre. Il poeta non è un soggetto, ma una specie di complemento di mezzo.
Quando “Avrai sorelle” è stata scritta, ho lasciato che da un punto imprecisato di assenza che faceva parte di me, filtrasse un fantasma del futuro. È accaduto quasi per una distratta forma di consolazione, perché i fantasmi sanno essere di grande compagnia. Non ho fatto nulla per dare a quella poesia un posto nel mondo delle Poesie, mi sono limitata a lasciarla a disposizione di chi passava. C’è qualcosa di misterioso nei percorsi sotterranei che ha attraversato. Ho scoperto col tempo che era sulla bocca di persone sconosciute, tra i messaggi di donne e ragazze mai viste, addirittura su dei poster e persino scritta su una panchina. È stato solo grazie a qualcuno che non sono io che è diventata un libro, un libro per cui non abbiamo nemmeno cercato una casa editrice e che ho voluto fosse distribuibile solo a mano, per lettera, per passaparola. Una cosa scritta che si muoveva, però, come una antica creatura orale.
Quando l’altra notte ho scoperto, per caso, che un pezzo di quella poesia era finito su un muro, a Roma, in un disegno bellissimo, che assomiglia tanto a quel fantasma di futuro che aveva bussato alla mia penna, ho sentito qualcosa che è difficile spiegare, una specie di suono gigante di un’onda.
Per il mio modo di vedere le cose, essere scritta su un muro, è la cosa più bella che possa accadere ad una parola.
Per questo voglio dire grazie a tutte le persone che in questi anni sono andate disseminando in giro “Avrai sorelle”, fino a quelle che l’hanno materialmente scritta su questo muro, facendola arrivare così lontano. Grazie. Non da parte mia, che in questa storia sono solo una medium, un arcano complemento di mezzo, ma da parte di quel fantasma che viene dal futuro 💜
P.S. Il murale è opera di Erica Silvestri
Nadezda Nim, 14 gennaio 2024


