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Cicatrici
Nella concava solitudine del guscio
Nella pallida certezza in cui il tutto tace
La dimensione piatta del pensiero
Che ricorda e conosce quel che fu cancellato
Anche senza dio, resta un peccato originale,
l’esistenza
E chiuderò nello stipo delle costole
Bottiglie piene
Di parole amare, su cui le dita battono facendo i calli
Nella febbre che divora il pensiero
E lascia l’odore netto del sentiero
spoglio
Ritrovo il senso del castigo
L’abisso in cui ricadere ancora e ancora
Anche se
Mi sentivo, mi sentivi salva
Se le cicatrici sapessero
parlare
Disegnerebbero mappe
Dei luoghi dove siamo stati sacrificati
Le cicatrici tacciono:
sono le orme silenziose
di una pelle che ci ha perdonati
Avrebbero potuto raccontarti
Dove non conficcare passi
E l’indirizzo delle caverne colme di eco
Dove non si deve
-non si deve!- parlare
Se non si è certi
Di voler ripetere
Quelle parole per sempre
Tira il filo
Il nodo
È in fondo
Dove non so più trovarlo
E l’ago cuce
Cuce i lembi
Di quello che siamo
Ci trascina lungo il crinale
Degli occhi
Dove sfuggono fiumi
Senz’ansa
Questa notte
La pelle evapora
Dal sonno alla veglia
Il confine è sottile
E rumoroso
Come il grugnito di un maiale
E guarita da me stessa
Tornerò
Nel guscio d’uovo
A riposare
Come una sirena
Cercando nella curva
Di una conchiglia
L’atomo del mare
(Nadezda Nim)
Foto: Scott Campbell, uova di struzzo illustrate