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Indaco e detriti
Ci incontreremo nelle sere sbagliate
dietro le roulotte nelle periferie rotte
dalla gramigna e dalle pietre
Per tutte quelle volte in cui non sono esistita
ci sarà qualcosa, una punta di stella, uno spessore di sangue
in qualche altrove
Dove vagava la mia mente
E campi fradici di dolore
L'errore
il diritto di cadere
Sbagliando di più e meglio,
forse,
avrei rubato un riflesso
E avrei saputo
dove perdermi, dove trovarla
Lei, mentre doppia ogni mio passo
e si stringe al mio braccio
E piange e ride
e balla le dieci lune dell'estate
È nata forse sotto il tredicesimo segno
(O è stata divorata dall'orco della mia -maledetta- intelligenza)
La ghiandola dei pomeriggi di primavera
è troppo vicina a quella del dolore
con ferri da calza costruisco impalcature di nodi in gola
Ci sono tagli di metilene
caverne blu che portano a ieri
Quando ho chiuso la zip delle parole
e ho messo carriarmati al posto dei denti
E avete avuto paura tutti
di ogni sillaba
Ma del silenzio?
Buchi nelle tasche, vecchie turchine alle finestre
ogni addio ha un pettirosso appeso al collo
la sua tenerezza ti strugge
ogni volta che ti volgi a guardare indietro
Voglio disperdermi
nella primavera azzurra che spezza gli occhi
Dopo gli ultimi baluardi di domesticazione,
nell'odore di siero di campanule
Di resti d'uomo
E cieli, brutalmente vivi
Su capelli spettinati
e pozzanghere intrise di riflessi
In quel laggiù che non ha fine e non ha senso
voglio correre
lungo circonferenze sottili di spettri verdi
Io dichiaro bancarotta e siedo
in questa corte
a gambe incrociate
con l'urlo di una canzone di traverso
colpevole
colpevole
colpevole
Come la muffa sui muri
e il muschio sui cocci delle piazze
Come un vetro rotto
come una stagione divelta
(Nadezda Nim)
Foto: Dal film "Un angelo alla mia tavola" (Jane Campion, 1990)